Suicidi gay: omosessualità virtuale, omofobia reale
“L’Italia è un paese libero, ma esiste l’omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza” . Le ultime parole scritte da Simone, studente romano di 21 anni, prima di lanciarsi nel vuoto da un palazzo di 11 piani. Un vero e proprio atto di accusa contro l’omofobia di una società, quella italiana, che, seppure più avanzata della sua rappresentazione politica, stenta ancora a riconoscere piena dignità e piena cittadinanza alle persone gay, lesbiche e transgender. Un’accusa che chiama in causa la responsabilità di tutti, dei genitori che non si erano accorti di nulla “ Non sapevamo che nostro figlio potesse essere omosessuale, né di questo suo disagio nei confronti dell’omofobia”, della scuola, dove l’omofobia è fra le principali cause di bullismo, degli amici e, più in generale, di tutti coloro che continuano a legittimare l’omofobia. Di sicuro, quello di Simone, è stato un grido di dolore in un momento di estrema difficoltà interiore, l’impossibilità di accettare e di vivere serenamente la propria omosessualità.
Un percorso di auto-accettazione reso ancora più difficile dal contrasto fra l’omosessualità virtuale, quella di internet, del cinema, degli spettacoli televisivi o di ristretti contesti ricreativi e l’omofobia reale, quella del disprezzo, del pregiudizio, dell’emarginazione. Un insieme di espressioni, quelle che alcuni cattolici chiamano “libertà di opinione” e di atteggiamenti negativi verso l’omosessualità che gay e lesbiche, soprattutto nell’adolescenza, interiorizzano e traducono in vergogna, sentimenti di inadeguatezza, mancanza di autostima, paura di deludere e di essere delusi. Sentimenti comuni ad altri adolescenti ma amplificati da quella condanna sociale che ancora oggi pende sull’omosessualità e che porta gli adolescenti omosessuali a pensare al suicidio fino a tre volte di più dei coetanei eterosessuali.
Omofobia, quella italiana, amplificata dall’inadeguatezza della politica che, in tanti anni di discussioni più o meno violente e umilianti, non è riuscita a riconoscere alcun diritto per le persone gay, lesbiche e trans, né, tanto meno, a condannare con parole chiare l’omofobia e la transfobia. La discussione sulla legge contro l’omofobia si è arenata alla Camera, in una formulazione fortemente depotenziata da una fantomatica “libertà di opinione” che, nella maggior parte dei casi, altro non è che istigazione al disprezzo. Una legge fortemente necessaria per il suo impatto sociale, poiché veicola il valore simbolico dell’uguaglianza e della protezione delle persone omo/transessuali, ma che interviene sull’omofobia a posteriori. Una legge che da giustizia alle vittime ma che non previene i crimini di odio. La prevenzione può esistere solo attraverso la sensibilizzazione, l’informazione e l’educazione alle diversità e ad una cultura del rispetto. Che generi la consapevolezza che una maggioranza altro non è che un insieme di minoranze e che l’omosessualità è una di queste.
La viceministro Cecilia Guerra, che ha la delega alle Pari opportunità, ha richiamato tutti, istituzioni, scuola, famiglia e mass-media, alle proprie responsabilità e si è impegnata a lavorare nelle scuole e nelle famiglie contro l’omofobia. Impegno che però si scontra con le resistenze di molti Istituti per impreparazione del personale docente o per timore delle reazioni dei genitori. Resistenze che abbiamo incontrato anche noi nei due anni di attività del gruppo scuola, che pure ha ottenuto grandi risultati. Ma gli incontri con gli studenti, se non supportati da un’adeguata formazione del personale docente, delle famiglie e di tutte quelle figure professionali impegnate della formazione e nell’assistenza, perdono di efficacia.
Vorremmo chiudere con una domanda ai tanti politici cattolici contrari al riconoscimento dei diritti di gay e lesbiche e ad una legge contro l’omofobia: davanti agli effetti della vostra omofobia cosa vi dice la vostra coscienza?
Movimento Omosessuale Sardo