Sardegna e rifugiati gay: negargli l’asilo significa condannarli al carcere o a morte

Protesta contro le leggi omofobiche del Gambia a Londra
Protesta contro le leggi omofobiche del Gambia a Londra

Sabato 13 Giugno Sassari sarà attraversata da Diritti al Cuore, manifestazione contro omofobia, razzismo e sessismo che ha, tra le principali richieste, il diritto all’accoglienza per chiunque fugga da situazioni di disperazione o da persecuzioni e la condanna dell’omofobia. Argomenti che si intrecciano quando i rifugiati sono omosessuali che fuggono da violenze, carcere e pena di morte. Rifugiati come Malik (nome di fantasia) arrivato dal Gambia lo scorso anno ed ora in attesa del ricorso al rifiuto al permesso di cinque anni come rifugiato. La commissione preposta di Cagliari non gli ha creduto, benchè avesse con se anche la tessera del MOS, a cui si è iscritto dopo alcuni mesi che era in Sardegna. La sua prima associazione Gay, la prima volta che poteva parlare apertamente della sua omosessualità, la prima volta che si è potuto sentire veramente libero da quando ha scoperto di essere gay. In Gambia l’omosessualità è punita con il carcere, fino all’ergastolo per i “recidivi” e per i sieropositivi. Ma l’omofobia sociale è ancora più pericolosa, come dimostrano le dichiarazioni del presidente del Paese Yahya Jammeh che, in un recente discorso pubblico, ha minacciato di “tagliare la gola” ai gay, considerati alla stregua di un’epidemia da debellare. Malik l’omofobia l’ha sperimentata sulla sua pelle. Quando fu scoperto insieme al suo compagno dovette assistere alla sua uccisione e solo la fuga l’ha salvato dal carcere. Ma nella commissione cagliaritana per i richiedenti asilo non gli hanno creduto. Non lo hanno ritenuto “abbastanza gay”. La delusione è forte, soprattutto per la constatazione che, anche se in forme diverse, l’omofobia è presente anche in Sardegna. Ed è un’omofobia che, se non corretta, potrebbe costargli la vita qualora venisse rispedito a casa.
Malik non è l’unico rifugiato gay a cui è stato negato il permesso. Dei richiedenti asilo iscritti e seguiti direttamente dal MOS sono già quattro quelli a cui è stato rifiutato il permesso perchè “non ritenuti gay”.
Ci chiediamo allora quali siano i criteri con cui la commissione valuta le richieste e qual’è il loro metro di giudizio dell’omosessualità. Da che cosa dipenderebbe tale valutazione? Dall’aspetto estetico? Dai vestiti? Dalla presenza o assenza di make up?
Credere di poter valutare l’omosessualità dall’aspetto esteriore è un pregiudizio molto radicato nella nostra cultura. Ma troviamo inaccettabile che, in una commissione con un potere così grande, le decisioni siano caratterizzate da tale omofobia.
Per un richiedente asilo è molto difficile ammettere pubblicamente di essere gay, sia per cultura che per la paura di essere scoperto dagli altri rifugiati del centro in cui è ospitato. E’ quindi comprensibile l’eventuale imbarazzo a parlare della sua vita sessuale o dei suoi sentimenti.
Negli Stati africani l’omosessualità è punita con pene detentive che vanno dai cinque anni all’ergastolo (Gambia, Uganda, Sierra Leone), con punizioni corporali, campi di lavoro forzati e con la pena di morte (Nigeria, Somalia, Sudan).
Nel 2013 una sentenza della Corte Europea riconosceva ai richiedenti asilo omosessuali il diritto alla protezione “L’esistenza, nel paese d’origine, di una pena detentiva per atti omosessuali qualificati come reato può, di per sé, costituire un atto di persecuzione (Sentenza delle cause riunite C-199/12, C-200/12, C-201/12). Giudizio espresso anche dalla Corte di Cassazione italiana in diverse sentenze, l’ultima delle quali risale a Marzo 2015.
Per questo il MOS chiederà di essere presente ai prossimi incontri della commissione per sostenere una revisione positiva del rifiuto opposto in prima istanza e garantire ai rifugiati omosessuali la giusta protezione riconosciuta dalle leggi e dalla giurisprudenza italiana e internazionale.

Foto di Peter Marshall tratta da http://mylondondiary.co.uk

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